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CHAVEZ: REGISTI 'LA MINACCIA',CON LUI UN INCONTRO FOLGORANTE
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SGUARDO LUCIDO E POTENTE E PAROLE ARCAICHE,DICONO DOCUMENTARISTI
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(ANSAmed)
- ROMA, 6 MAR - "Incontro folgorante. Sguardo lucido, potente, parole
arcaiche e destabilizzanti. Il potere iscritto nel dna, non nelle
mostrine". Così i giovani registi italiani Silvia Luzi e Luca Bellino
raccontano il loro primo incontro con Chavez nel luglio del 2007, quando
giunsero in Venezuela per girare il loro documentario "La minaccia",
sui "diversi e contraddittori aspetti - dicono - della rivoluzione
bolivariana".
"Ci siamo incontrati all'aeroporto militare di Caracas all'alba - ricordano parlando con l'ANSA - pronti a partire per la diretta della trasmissione televisiva Alò Presidente. Sono bastate poche parole e ci ha voluto in volo con lui. 'Tu mi sembri Claudia Cardinale... e tu John Lennon!', ci ha detto. E siamo partiti canticchiando Domenico Modugno". "Volo avventuroso - proseguono - e destinazione segreta. Abbiamo trascorso insieme tutta la giornata, tra l'elicottero, l'aereo presidenziale, il set televisivo (presentati come invitati speciali) e misteriosi aeroporti militari". Un'esperienza unica, visto che "il Presidente non rilasciava interviste a media italiani da molti anni". "Poi siamo rimasti altri due mesi in Venezuela - ricordano ancora Luca Bellino e Silvia Luzi - e abbiamo continuato le riprese mettendo da parte la fascinazione per la persona Chavez. Abbiamo raccontato un Venezuela diviso, in perenne stato di agitazione e di paura". "Ma quello che non si vede nel film - concludono - è che Chavez ha regalato al Venezuela qualcosa che sarà possibile constatare solo d'ora in avanti: una passione politica e civile rara e preziosa, una coscienza critica che andrà ben oltre il chavismo o il socialismo petroliero. (ANSAmed). Chávez e noi.
IL MATTINO, 7 marzo 2013
di Luca Bellino e Silvia Luzi
E'
l'alba di una domenica qualsiasi per Chávez.
La
trasmissione televisiva da condurre per sette ore, le risposte da
dare a centinaia di cittadini, gli annunci delle missioni governative
da lanciare, i sorrisi da dispensare a tutti. Eppure Chávez
appare incuriosito proprio da noi due, pallidi e tesi, impauriti dai
militari armati che lo circondano e dal suo modo di fare fin troppo
amichevole, abituati come siamo ad essere ignorati anche dall'ultimo
consigliere comunale di una piccola città di provincia.
E'
il 28 luglio del 2007, il giorno del suo cinquantatreesimo
compleanno. Noi stiamo girando un documentario sul socialismo
bolivariano, sedotti dalla promessa di una rivoluzione, frustrati
dalle mille delusioni della nostra generazione. Chávez
è la risposta, per noi e per molti altri, alla fine di un'era.
Ci
guarda divertito il Presidente quella mattina prima che l'elicottero
si alzi in volo verso una destinazione mantenuta segreta: “Claudia
Cardinale! Mi sembri Claudia Cardinale. E tu John Lennon!”. Ci
invita a salire con lui sull'elicottero presidenziale, sorride e
inizia a canticchiare “la lontananza sai è come il vento...”.
Canterà Modugno per tutto il giorno, mentre noi alterniamo
incredulità e soggezione di fronte agli scenari di una domenica
qualsiasi di una rivoluzione in corso.
Il
set televisivo della trasmissione Alò Presidente è imponente,
disteso sulle rive del fiume Orinoco, davanti a uno dei più grandi
giacimenti petroliferi del mondo. Quel giorno viene formalizzato il
progetto del socialismo
petrolero,
l'ammissione che la rivoluzione è possibile solo grazie alle entrate
derivanti dallo sfruttamento del petrolio, ma anche la constatazione
che “quando il petrolio finirà in tutto il mondo, al Venezuela ne
resterà ancora molto”.
Proprio
per questo bisogna difendersi, ci dice il Presidente, e finita la
trasmissione ci porta in un aeroporto militare dove sono custoditi
gli aerei da guerra appena comprati dalla Russia. Ce li mostra con
orgoglio: “io non voglio fare la fine di Saddam Hussein”. E non
la farà. Gli Stati Uniti sono il nemico da evocare e attaccare a
ogni occasione, ma sono anche il primo partner commerciale del
Venezuela, gli uni dipendono dagli altri. A Caracas dicono che Chávez
e gli Usa sono come moglie e marito, litigano tutto il giorno ma poi
si coricano a letto insieme. Sette ore di diretta dopo, con decine di
collegamenti nei luoghi più lontani del Paese e un'orchestrina che
canta in chiusura, Hugo Chávez ci abbraccia e ci regala la sua
ricetta per la comunicazione: “prendere i cannoni più potenti e
iniziare a bombardare”.
Della
sua onnipresenza ce ne rendiamo conto nei mesi che seguono, mentre
continuiamo le riprese del nostro documentario. L'icona Chávez è
ovunque e l'atmosfera di tensione che si respira per le strade del
Paese ci offre la suggestione che darà origine al titolo del film:
La
Minaccia.
Chávez si sente minacciato dagli Stati Uniti, Washington descrive il
Venezuela come la più grande minaccia dai tempi dell'Unione
Sovietica, e soprattutto tutti i cittadini, chavisti e oppositori, si
sentono costantemente al centro di intimidazioni e avvertimenti.
La
Minaccia
racconta l'enigma Chávez, andando oltre la fascinazione per la
persona e lasciandosi alle spalle i ricordi e le immagini di una
giornata unica e irripetibile. Abbiamo cercato di evitare l'apologia
e la denigrazione, e dopo 14 anni di epopea chavista il nostro film
resta l'unico affresco della rivoluzione bolivariana. Abbiamo girato
il mondo per presentarlo, dalla Commissione Europea alla Cambridge
University, dal Giappone al Brasile, e ovunque abbiamo trovato due
fronti contrapposti. Chávez eroe o Chávez dittatore. Per noi
l'enigma non si è sciolto.
Luca
Bellino, Silvia Luzi
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Chávez e noi - marzo 2013
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