martedì 15 maggio 2012

I segnali di Chávez

estratto da I segnali di Chávez e le certezze della Bolivia
di Niccolò Locatelli - Limes 

Il discorso per il Venezuela è diverso, non solo perchè si tratta del dodicesimo produttore ed esportatore di petrolio al mondo (e del secondo per riserve accertate), ma anche perché le risorse dell'oro nero sono state sfruttate in questi anni dal colonnello Chávez per accarezzare sogni di potenza egemone nella sua regione. Strumentale a questo disegno la retorica continua contro gli Stati Uniti d'America e le istituzioni a loro vicine (ultima in ordine di tempo la Commissione interamericana dei diritti umani, organo dell'Organizzazione degli Stati americani dal quale il presidente venezuelano è tornato a minacciare l'autoesclusione). Il fatto che gli Usa siano il primo partner commerciale di Caracas viene convenientemente taciuto.

A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, il Venezuela vive una fase di profondissima incertezza dovuta a due variabili: la sorte di Chávez e quella della rivoluzione bolivariana. La salute del presidente è segreto di Stato: ufficialmente si sa solo che nel 2011 è stato operato di cancro ma che il tumore si è manifestato di nuovo. Ultimamente Hugo trascorre sempre più tempo a Cuba, dove si cura sotto l'occhio dei suoi alleati più importanti, i fratelli Castro. In questo quadro di segretezza quasi assoluta - che il giornalista antichavista Nelsón Bocaranda cerca di rompere attraverso le sue fonti, finora attendibili - alcuni segnali giunti nell'ultimo mese fanno pensare che la scomparsa del presidente, o comunque la sua impossibilità di esercitare la carica per un ulteriore mandato, siano eventualità all'ordine del giorno.

Ha iniziato lo stesso Chávez, che durante una messa si è rivolto direttamente a Dio chiedendogli la vita; ha continuato Wilmar Castro, il governatore dello Stato di Portoghesa e membro del Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv, chavista), che ha paventato uno scenario con il presidente, uno senza di lui e uno senza elezioni; ha concluso il Castro più famoso, Fidel, che in una delle sue “riflessioni” ha smentito la presenza di divisioni all'interno della cupola venezuelana “nel caso il presidente non riuscisse a superare la malattia”.

Più delle parole, un fatto: l'attivazione del Consiglio di Stato, un organo consultivo del governo previsto dalla Costituzione del 1999 ma rimasto sulla carta fino a questa settimana. Composto dal vicepresidente Elías Jaua e da altri 5 membri, potrebbe fungere da governo de facto e da incubatore del sostituto di Chávez alle elezioni, se questi non ce la facesse. Mentre l'opposizione si è stretta attorno alla figura di Henrique Capriles in vista del voto, al momento non c'è, o non si conosce, un piano B degli alleati del colonnello. I sondaggi dicono che Capriles perderebbe contro Hugo, ma vincerebbe contro ogni altro eventuale candidato governativo.

Con la fine terrena o politica di Chávez potrebbe quindi terminare anche la rivoluzione bolivariana, che in Venezuela ha significato maggiore attenzione ai bisogni primari delle classi più basse ma anche limitazione del pluralismo, aumento della violenza e corruzione ai più alti livelli.

Anche all'apparato politico-militare cresciuto all'ombra del comandante in questi anni arrivano segnali allarmanti: l'ex magistrato del Tribunale supremo di giustizia Eladio Aponte Aponte, estromesso dall'incarico per presunti legami con il narcotraffico, è volato negli Usa e collabora con la Dea (l'agenzia antidroga statunitense): secondo lui alcune figure di spicco del chavismo - come il neoministro della Difesa Henry Rangel Silva e il presidente dell'Assemblea nazionale Diosdado Cabello - avrebbero legami con i cartelli della droga e con la guerriglia colombiana delle Farc. Due recenti omicidi eccellenti (un generale dell'esercito e l'ex governatore di Apure) potrebbero essere legati al narcotraffico.

Secondo l'Iiss i chavisti senza Chávez potrebbero tentare di conservare il proprio potere in maniera non costituzionale. Difficilmente tale mossa verrebbe ben accolta dalla popolazione, che nel 2011 è stata la più favorevole di tutta l'America Latina al sistema democratico.